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L’ospite della puntata è Massimo Fiorio, o Dietnam se preferite.
FREAKS AND ONE GEEK*
La storia dell’horror americano è costellata di freaks. Stephen King non fa eccezione, essendo un geek (cioè un nerd, cioè un fissato) del genere.
I “side show”, quelle attrazioni che costeggiavano le strade per intrattenere i viaggiatori stanchi e assetati di svago e stranezze, fanno parte del costume statunitense e, pur cambiando continuamente forma e adattandosi ai tempi, rappresentano un passatempo che non è mai veramente tramontato. Tra la fine dell’800 e la metà del ’900 ospitavano i “fenomeni da baraccone”: uomini e donne considerati “strani” o lontani dalla normalità e quindi curiosi – poi fortunatamente aboliti, ma i cultori del genere horror non possono dimenticare il capolavoro al limite del documentaristico di Tod Browning, Freaks, che nel 1931 cementava l’immaginario e denunciava la tradizione – e poi sono diventati culla di tutte le altre stranezze americane, rimaste in forma di giganteschi residui idolatrici a punteggiare le strade secondarie: il luccio più grande (Erskine, Minnesota), la palla di spago più mastodontica (Darwin, Minnesota), la pesca più imponente (Gaffin, South Carolina). Materia d’orrore, ovviamente, e infatti King ne ha tratto una delle scene più inquietanti di It, quella in cui una mostruosa statua del leggendario personaggio delle favole Paul Bunyan se la prende con Richie Tozier, ricordandogli che con un’infanzia come la sua, la fine sarà spettacolare.

Non sono soltanto i poveretti che un tempo venivano definiti “fenomeni da baraccone”, e come tali sfruttati, o le gigantesche rappresentazioni di giganteschi boscaioli a nutrire l’immaginario kinghiano provenendo dai bordi delle strade, però: il parco dei divertimenti, con i suoi tunnel dell’orrore, dell’amore o entrambe le cose assieme, le sue ruote panoramiche cigolanti, le sue fritture incubotiche, le sue macchine più o meno assassine e, soprattutto, i suoi giostrai – ceto di eletti o maledetti, che hanno il privilegio di vendere divertimento o di infinocchiare creduloni – è il terreno perfetto per costruire una storia dell’orrore. E infatti, King lo ha fatto in parecchie occasioni.
Di Revival abbiamo parlato la volta scorsa, ma vale la pena tornare a citarlo perché è il romanzo nel quale il baraccone fa da incubatore e sfondo alla crescente pazzia di un imbonitore che un tempo era stato un uomo di fede ma che piano piano si è fatto trascinare sempre più a fondo dal senso dello spettacolo; poi ci sono i nomadi di Doctor Sleep – Rose “Cilindro”, Vero Nodo e compagnia bella – che assomigliano molto da vicino a una compagnia itinerante di giostrai, solo che anziché vendere divertimento preferiscono rubare energia psichica, e, come i carnie dei baracconi, hanno un loro linguaggio e delle loro regole che non corrispondono a quelle del mondo cosiddetto “normale”; e naturalmente Joyland, dove il sistema del baraccone è sia ambientale che strutturale, linguistico e formativo per il giovane Devin Jones, dal cuore infranto e dal talento innato per ballare il tip-tap in costume da gigantesco cane di nome Howie.
I baracconi, le giostre e i giostrai, poi, tornano in ruoli secondari anche in L’occhio del male, Mucchio d’ossa e La zona morta. Un personaggio da baraccone è senz’altro Leland Gaunt, il probabilmente ma non certamente anziano proprietario del negozio delle meraviglie in Cose preziose e, vuole la vulgata, anche l’ambientazione di Shining, almeno nelle prime bozze, sarebbe dovuta essere un luna park.
Se King è affascinato da side show è per vari motivi: il primo, come già detto, è che per gli americani i baracconi sono qualcosa di sempre presente e rappresentativo quanto hamburger, birra scadente e armi da fuoco in mano a tipi poco raccomandabili coi baffi a manubrio. La popolazione che trascorre pù tempo di qualsiasi altra lungo le strade non può dirsi estranea alle attrazioni che ne costeggiano i lati. «Da americani», ha detto King, «Viviamo nella costante ricerca dell’intattenimento a ogni costo, nemmeno in viaggio ci è consentito annoiarci. State bene attenti ogni volta che vedete una roulotte accostata, un gruppo di Winnebago, un Bounder o compagnia. Chissà chi ci si nasconde dentro. O cosa».
Poi, c’è un libro del 1962 di Ray Bradbury, che in italiano si chiama Il popolo dell’autunno ma che in inglese ha un titolo ben più evocativo (Something Wicked This Way Comes) che parla di due ragazzini che si imbattono in un luna park maledetto che li cambierà per sempre. Comincia così:
Un anno Halloween venne il 24 ottobre, tre ore dopo mezzanotte. A quell'epoca, James Nightshade, che abitava al 97 di Oak Street, aveva tredici anni, undici mesi e ventitré giorni. Il ragazzo che abitava la porta accanto, William Halloway, aveva tredici anni, undici mesi e ventiquattro giorni. Entrambi stavano per raggiungere i quattordici anni: già i quattordici anni tremavano nelle loro mani. E poi vi fu quella settimana d'ottobre in cui divennero adulti di colpo e non furono mai più giovani...
Vi ricorda qualcosa? Per forza, è uno dei romanzi preferiti da King, dal quale ha preso parecchia ispirazione, sia per quanto riguarda le suggestioni sovrannaturali, sia, e forse soprattutto, per quanto riguarda gli aspetti di formazione. Parla dei baracconi e del modo che hanno di alterare le coscienze senza che alcol e droghe siano coinvolti.
Infine, King ha sempre considerato il suo lavoro soprattutto come un’opera da imbonitori a larghissimo raggio. Insomma: lo scrittore, per lui, è contemporaneamente un venditore di divertimemento e un illusionista, buono tanto per i baracconi quanto per i freak show. Chi entra in un luna park o in un side show, mette in pausa l’incredulità come chi apre un romanzo, pur rimanendo vigile e integagendo con il suo intorno. È disposto a credere nel futuro letto su una mano da una gitana della porta accanto, o a vedersi alto, basso, magro, grasso, attraverso uno specchio deformante fatto di luci colorate, tendoni e neon stroboscopici. Lo dice in varie occasioni, ma soprattutto nella prefazione di Il bazar dei brutti sogni:
Sono un intrattenitore nato. Me la cavo appena con la chitarra e sono una frana a tip-tap. Ma in questo [la scrittura] sono bravo. E non mi tiro indietro.
Basta così. “A sucker is born every minute – nasce un credulone al minuto” è un vecchio motto dei baracconi citato anche in Joyland, e noi siamo tra questi.
(*Se non avete colto il titolo, fatevi un favore che vi riempirà di gioia e poi di amarezza: recuperate e guardate Freaks and Geeks. Non c’entra con Stephen King e non è nemmeno horror, ma è un piccolo miracolo, da qui la gioia. Ne hanno fatta una sola stagione e non finisce, da qui l’amarezza)
MAPPA DI LETTURA
Joyland è il trentaduesimo romanzo di Stephen King e il quarantanovesimo libro da lui pubblicato.
È uscito contemporaneamente negli Stati Uniti, per l’editore indipendente Hard Case Crime, e in Italia, per Sperling&Kupfer il 4 giugno 2013, tradotto da Giovanni Arduino.
Nello stesso anno è uscito Doctor Sleep.
Si colloca nella fase “matura” di King, che si rivolge più che altro a temi intimi e riflessivi, ma soprattutto con pochissimo (se non nessun) sovrannaturale. Ecco perché in America è uscito per Hard Case Crime, normalmente dedicata al pulp noir e per la quale King ha pubblicato anche Colorado Kid, nel 2005.
Benché il giovane protagonista, squattrinato e di belle speranze, Devin Jones si sia trasferito in North Carolina dal New England (vicino a Boston, ma non nel Maine a quanto pare…) per lavorare a Joyland, non ci sono collegamenti espliciti, né geografici né temporali, a nessuna altra opera dell’universo kinghiano tradizionale.
Joyland sarebbe dunque uno di quei rari romanzi di King (con Duma Key e La bambina che amava Tom Gordon, per esempio) che esistono al di fuori del suo mondo. Con una piccola eccezione di ritorno: in Revival, il revedendo Jacobs dice di essersi esibito a Joyland, gettando un piccolo ponte tra i due romanzi, che, dopottutto, condividono anche in parte l’ambientazione.
A livello tematico, Joyland riprende molte delle suggestioni e dei temi tipici del King più classico: dai personaggi con poteri psichici, al mondo dei giostrai, al percorso di formazione e la perdita dell’innocenza.
A molti Joyland ha ricordato, per struttura narrativa (il protagonista in prima persona che ricorda un passato traumatico non senza malinconia, ed elementi da giallo investigativo) altri romanzi di King come La zona morta. Non esiste un collegamento comprovato, ma a un certo punto, Mike Ross, il bambino malato terminale con poteri psichici, mette nella tasca di Dev Jones una molletta che al momento opportuno si rivelerà fondamentale per la sopravvivenza di Dev. Lo stesso, più o meno, fa Johnny Smith, anche lui dotato di poteri extrasensoriali, in La zona morta in varie occasioni e con vari oggetti.
Caso? Pigrizia kinghiana? O una di quelle vollte in cui il nostro strizza l’occhio per i suoi lettori più attenti e ossessivi? Chi lo sa? Noi no.
MULTIMEDIA
Questa è la copertina della prima edizione italiana di Joyland (chi non ce l’ha è un frolloccone):
Non esistono trasposizioni cinematografice di Joyland, ma nemmeno televisive, fumettistiche, corti fatti in casa, niente. Però, nel 2015 pare che il regista Tate Taylor (quello di The Help, per intenderci) ne avesse acquistati i diritti e avesse anche cominciato a produrlo, o almeno lo avesse annunciato in pompa magna. Non ne è uscito nulla, per ora.
Un’altra flebile notizia è che il canale via cavo TNT, passando per il produttore di Jane The Virgin Chris Peña, avrebbe iniziato un adattamento nel 2018, ma anche di questo a oggi non si sa nulla.
CHI SIAMO
Io sono Jacopo Cirillo, e io Giulio D’Antona, ed entrambi facciamo gli autori nel tempo libero. Il nostro vero lavoro è leggere King e litigare. Nel 2023 abbiamo creato, scritto e condotto un podcast prodotto da Mondadori Studios e Sperling&Kupfer, si chiamava Kinghiana e parlava di Stephen King, un libro alla volta.
Dopo otto puntate, otto romanzi e una bella community all’ascolto, l’editore ha deciso di chiudere il podcast, un po’ perché non corrispondeva più alla linea editoriale della casa editrice, un po’ perché – non l’abbiamo ancora ben capito. Poco male, ci siamo detti: ce lo facciamo da soli, però chiamiamo anche Guido Brualdi a fare le illustrazioni. Ed eccoci qui.
Se vuoi seguirci su Instagram, questi sono i nostri profili: Jacopo, Giulio e Guidino, e questa è la nuova pagina dedicata a Kinghiana.
Ci sentiamo tra due mercoledì con la prossima puntata!
Da un po’ aspetto questo episodio❤️